TESTO
[Verse 1]
La prima estate senza orari né timbri
da Varsavia giù a Yerevan, ai bordi dell’ex impero,
sui binari caldi di una mappa che finisce
dove il cielo sembra più vicino al pensiero.
Cinque capitoli di passi e di taccuini,
ogni frontiera un’altra ruga sulla pelle,
la Polonia che si spegne dietro il vetro
e il Caucaso che sale come il fuoco delle stelle.
[Verse 2]
Tra Kaliningrad e Mosca, sogno Vladivostok,
diciotto mesi a inseguire il “russky mir”,
città sospese tra due lingue e due destini,
visi italiani in un’autunno da respiro sottile.
Sale nei viali una memoria che non tace,
nei palazzi grigi scorre un fiume di canzoni,
e ogni incontro è un piccolo consolato
di parole e di silenzi, oltre le traduzioni.
[Chorus]
Questo non è turismo, è un viaggio a piedi nudi
sulle assi consumate del Novecento,
un treno che attraversa il tempo e non le ore,
un taccuino aperto controvento.
È un viaggio vero, faticato e riflessivo,
tra neve, stazioni e giorni senza nome,
e quando la scrittura si fa chiara come il gelo
il paesaggio si trasforma in una pagina che brucia nel cuore.
[Verse 3]
Georgia antica, vino rosso nelle case,
strade che cambiano ma il canto resta uguale,
tra memoria e futuro si fa stretto l’orizzonte
e la storia ti cammina accanto, passo uguale.
Poi San Lazzaro che galleggia nella laguna,
e Gorizia che si sdoppia oltre un confine sottile,
un’unica città con due nomi sulla porta,
dove l’Europa impara a respirare più civile.
[Chorus]
Questo non è turismo, è un viaggio a piedi nudi
tra lingue che si cercano nel vento,
un treno che attraversa il tempo e non le ore,
un taccuino aperto controvento.
È un viaggio vero, faticato e riflessivo,
tra neve, stazioni e giorni senza nome,
quando la memoria si fa lucida e ostinata
ogni chilometro diventa una domanda nel cuore.
[Bridge]
E poi la linea lunga della transiberiana,
Mosca alle spalle, l’Est che chiama piano,
quattro settimane a contare i fiumi e le ferite,
un sogno giovanile che ti stringe ancora la mano.
Siberia immensa, Dalny Vostok all’orizzonte,
le storie taciute nei vagoni della notte,
e in ogni stazione il passato fa capolinea
tra sguardi stanchi e luci troppo fioche.
[Chorus / Variation]
Questo non è turismo, è un viaggio che fa male,
che ti costringe a fare i conti con la storia,
un passo dopo l’altro sopra il ghiaccio della vita,
finché il paesaggio si trasforma in memoria.
È un viaggio vero, faticato e riflessivo,
e quando torni non sei più come prima,
restano soltanto righe limpide e profonde
e il Fiorino d’oro che accarezza quella stima.
[Outro]
E nell’estate di domande e di risposte
una voce ti rincorre in una stanza di parole,
l’intervista è solo un modo per capire
che il viaggio vero non finisce sulle soglie del sole.
Con foto che sbiadiscono ma tengono la rotta,
invito a ripartire senza maschere né alibi,
oltre il semplice turismo, oltre ogni cartolina,
alla ricerca di un mondo complesso eppure ancora abitabile.