Sesto libro di Paolo Vettori
L’autore, viaggiatore appassionato e curioso, va alla riscoperta di quei paesi che in Europa hanno maggiormente sofferto, negli ultimi decenni, di una sorta di oblio: uno di questi è l’Armenia che con grandi difficoltà ha saputo rimanere fedele alla propria identità culturale e religiosa, nonostante gli attacchi culminati con il genocidio del 1915/16.
scheda del libro
Titolo | Yerevan/Stepanakert - Ai confini dell'ex Impero Sovietico |
Autore | Paolo Vettori |
Pubblicazione | 2014 |
Editore | Edizioni Helicon |
Pagine | 248, brossura |
Prezzo | 10,00 € |
ISBN |
8864662642
8864662642 |
Info | Narrativa |
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Paolo Vettori preferisce al saggio il genere narrativo che coinvolge il lettore e gli permette di immedesimarsi con i personaggi, suscitando in tal modo curiosità e attesa.
Ha pubblicato le seguenti opere di narrativa: Chopin Express, Editore Mauro Baroni,Viareggio 1997; L'ultima estate di Pace, L'Autore Libri, Firenze 1999; Isola Calva e dintorni - Lettere dal Pianeta Giustizia, Edimet Edizioni, Brescia 2002; Faccia a faccia con l'ultimo sbirro di Stalin, Edizioni Albatros Il Filo, Viterbo 2011; Diario di un burocrate per caso, Giovane Holden Edizioni, Viareggio 2013.
introduzione
Questo volume raccoglie i miei appunti di viaggio dell’estate del 2013, la prima estate da pensionato, durante la quale i miei itinerari hanno potuto spaziare, per la prima volta dopo tanti anni, dalle mete a me più familiari, a cominciare dalla Polonia, ad altre assolutamente sconosciute, quali, appunto, l’Armenia e la repubblica “fantasma” del Nagorno Karabakh.
Varsavia - Praga - Yerevan - Stepanakert, un itinerario che - nel corso della “luna di miele con la pensione”, durata appena ottanta giorni - ha toccato luoghi tra loro molto distanti, non solo geograficamente, eppure accomunati dalla circostanza di essere stati, sino ad appena un quarto di secolo fa, terre di confine del grande ed eterogeneo impero sovietico.
Al centro del mio nuovo libro, c’è comunque il viaggio nel Caucaso Meridionale, tra Armenia e Nagorno Karabakh, che ha costituito, per me, il primo contatto diretto con il popolo armeno, a cui ho sempre guardato con simpatia, per la tenacia dimostrata nel difendere la propria identità religiosa e culturale.
Un viaggio breve, che mi ha però consentito di mettere a fuoco alcune pagine, rimaste sinora sotto traccia, della complessa e travagliata storia del Novecento, dal primo genocidio del secolo, che la Turchia ufficiale si ostina ancora oggi a negare, sino all’implosione del regime sovietico, che si è lasciata alle spalle, in queste lontane province ai confini con Iran e Turchia, una lunga scia di conflitti tuttora irrisolti, non solo la sanguinosa guerra tra armeni e azeri dei primi anni ‘90 per il controllo del Nagorno Karabakh ma anche l’intervento armato russo dell’agosto 2008 nelle regioni georgiane delll’Abkhazia e dell’Ossezia Meridionale.
E tuttavia queste vicende storiche rappresentano semplicemente lo sfondo di uno scenario, nel quale l’attenzione primaria si concentra sulla vita quotidiana della gente comune.
A polarizzare la mia curiosità (qua come nel libro del 2011 dedicato “all’ultimo sbirro di Stalin”) è l’intreccio tra i grandi eventi della Storia (con la esse maiuscola) e le vicende personali di chi quegli eventi li ha vissuti sulla propria pelle.
Anche in questo caso, lo snodo centrale è costituito dal crollo repentino dell’impero sovietico, di cui mi sono già occupato nei due libri precedenti ambientati in Polonia (“Chopin Express” e “Faccia a faccia con l’ultimo sbirro di Stalin”).
Cambia, stavolta, la localizzazione geografica: non più la Polonia e gli altri Paesi “oltrecortina” - per i quali “l’ottantanove” ha rappresentato soprattutto l’avvio di un processo, seppur faticoso, di riunificazione con l’altra metà dell’Europa - ma il Caucaso Meridionale, dove, invece, il crollo dell’URSS ha innescato non solo una serie di conflitti armati tra le diverse etnie ma anche una completa disgregazione del tessuto sociale ed economico dell’intera area transcaucasica (divenuta non a caso la più instabile dell’ex impero sovietico) senza che si riesca ancora ad intravvedere un nuovo assetto regionale, capace di definire rapporti “normali” tra le tre repubbliche di Armenia/Azerbaigian/Georgia e tra queste e i loro potenti vicini (la Russia, a nord, la Turchia e l’Iran, a sud).
Volendo sottolineare la complessità di un processo storico - che ha assunto connotati molto diversi nelle varie aree che appartenevano all’impero sovietico - ho ritenuto opportuno inserire nel volume anche i miei appunti di viaggio dedicati a due capitali dell’Est Europeo - Varsavia e Praga - che possono essere con¬siderate entrambe esempi virtuosi della transizione postcomunista
Paolo Vettori
incipit
Armenia e dintorni
Un viaggio nella storia dimenticata del XX secolo
13 agosto 2013
Primo giorno di questo viaggio alla scoperta di un popolo, l’armeno, che ha sempre suscitato in me una istintiva simpatia, per la tenacia con cui ha saputo rimanere fedele alla propria identità culturale e religiosa - per secoli gelosamente custodita nei monasteri abbarbicati sui monti tra il Caucaso Meridionale e il lago di Van - e strenuamente difesa a costo di sacrifici enormi, sino al genocidio del 1915/16, che i politici turchi di ogni tendenza (gli islamisti, oggi al potere ad Ankara, non meno dei loro oppositori laici) continuano ostinatamente a negare.
Col tempo si è aggiunto anche l’interesse per le travagliate vicende seguite alla scomparsa improvvisa dell’Unione Sovietica, in particolare il conflitto armato con l’Azerbaigian dei primi anni ‘90 per il controllo del Nagorno Karabakh, conclusosi nel ‘94 con una tregua, che regge da oltre 19 anni ma che è stata accompagnata da una insidiosa guerra economica, destinata, alla lunga, a mettere a dura prova un’economia debole come quella armena, su cui pesa non poco la chiusura delle frontiere con Azerbaigian e Turchia, conseguenza di quel conflitto ancora non risolto.
E tuttavia questi miei interessi, al pari di tanti altri, sembravano destinati a rimanere lettera morta sino a quando non ho incontrato, il 21 giugno scorso, sull’aereo tra Varsavia e Bergamo, Diana, una bella ragazza di Yerevan che lavora, ormai da anni, nella capitale polacca.
Parlando con lei, è spuntata , nella mia testa, l’idea di un viaggio da quelle parti ad agosto, più o meno in concomitanza con le sue vacanze estive a casa dei genitori.
Una settimana dopo avevo già in tasca la prenotazione dell’albergo e i biglietti aerei.
Fino ad ieri, però, non mi sono preoccupato più di tanto di questo viaggio che si discosta notevolmente dai miei consueti itinerari da un capo all’altro dell’Europa, da Lisbona ad Helsinki, passando per Varsavia o Copenaghen, realtà certo assai diverse ma pur sempre appartenenti alla “casa comune europea”.
Stavolta si tratta invece di addentrarsi nel cuore del Caucaso Meridionale, divenuto, dopo il ‘91, una delle aree più instabili, se non del Pianeta, almeno dell’ex Impero Sovietico.
Mentre, all’Aeroporto Vaclav Havel di Praga, percorro l’area transiti, diretto al volo della Czech Air per Yerevan, mi assale d’improvviso il timore per ciò che mi aspetta in Armenia, dove comunque me la dovrò cavare da solo, visto che Diana - presa dalle sue vecchie amicizie e dagli impegni familiari - potrà dedicarmi ben poco tempo.
Per fortuna i miei timori svaniscono non appena a bordo.
Sul piccolo aereo ci saranno una quarantina di persone, giovani per la maggior parte, tutti armeni che rientrano a casa dalle città in cui hanno trovato lavoro, in Germania, in Polonia e nella stessa Cechia.
L’atmosfera, molto cordiale e rilassata, mi ricorda quella che si poteva respirare, in questa stagione o anche prima di Natale, sui treni diretti a Napoli e Palermo, trenta e più anni fa.
Ascolto in silenzio il suono gioioso e musicale di una lingua a me completamente ignota, che non sembra avere alcuna parentela con nessuna di quelle che mi è capitato di sentire, in tanti anni...
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